A settantasette anni di distanza dagli eventi di fine settembre 1943, non possono esservi, né vi sono in verità, dubbi e incertezze sul fatto che le Quattro Giornate di lotta popolare contro nazismo e fascismo, rappresentino uno dei momenti più significativi ed esaltanti della storia contemporanea della Città. Napoli è insorta allora contro i tedeschi, vieppiù incattiviti e rancorosi dopo l’8 settembre, ed è stata la prima metropoli europea a farlo, con le proprie forze e senza aspettare l’ingresso in campo degli Alleati (che avviene ai primissimi giorni di ottobre) dando l’indicazione concreta a tutto il Paese di ciò che si sarebbe dovuto fare, e in pratica avviando così l’intera cruciale fase della Resistenza italiana.
Negli anni se ne è discusso, in maniera non sempre univoca e lineare; è quindi bene precisare ancora una volta che non si è trattato di un “moto tellurico”, da gente ‘vesuviana’, né di un’indistinta rivolta urbana e neppure di un’epopea di ‘scugnizzi’. Quelle Giornate sono costate sangue, lutti e dolore, e sono state giustamente onorate dalla nostra Repubblica della medaglia d’oro al valore. Con ben maggiore ragione, pertanto, si è parlato di “urto primordiale” tra un popolo poco o niente armato, ed un esercito poderoso e ancora assai temibile; e più ancora, del frutto di una sentenza politica a lungo elaborata nelle coscienze, di condanna e di rifiuto del fascismo e del nazismo, nonché, e forse prima, della guerra con il suo funesto corredo di paura, fame, lutti e rovine materiali e morali.
Insomma, il punto è, e resta, che in un momento fatidico della loro storia, napoletani e napoletane di diversa età, condizione e provenienza sociale e politica, civili e militari, decidono di decidere e prendere il proprio destino nelle proprie mani, come già avvenuto, peraltro, varie volte nei secoli passati. Per questo, e per mantenere vitale e attiva questa straordinaria tensione etico-politica e civile che percorre la storia lunga della nostra comunità e che ricorrentemente si rimette alla prova e si manifesta, è giusto, sacrosanto – mi permetto di dire- ricordare e trasmettere memoria degli eventi.
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Mi sembra pure il caso, in occasione dell’anniversario ormai in corso, segnalare almeno due contributi maturati in questi ultimi tempi in campo storiografico e culturale-politico, e da qui entrati nel discorso e nella percezione comuni.
Per un verso, si tratta dello sforzo, anch’esso doveroso e atteso a lungo, volto al pieno inserimento delle Quattro Giornate e del ‘teatro’ napoletano e meridionale di esse, nel quadro d’insieme che connota il ‘cuore’ della vicenda del Mezzogiorno dal 1938 al 1948 e connette strettamente il tutto alla storia generale del Paese tutto. In questo senso è necessario riandare alle tante contingenze, fasi ed eventi, che precedono e preparano le Quattro Giornate stesse o vi ruotano attorno o ne conseguono. Gli esempi, e i relativi richiami, sono davvero tanti e dobbiamo limitarci ad elencarne una parte: si pensi alla fine anticipata della guerra ed all’arrivo degli anglo-americani; alla ricostituzione del Regno d’Italia senza più il fascismo mussoliniano e limitato a meno di un terzo del territorio nazionale; all’antifascismo meridionale, intellettuale, operaio e popolare; alla dolorosa esposizione alle feroci rappresaglie naziste ma anche allo sciame di insurrezioni e rivolte in molti Comuni ed alle “repubbliche rosse” in alcuni borghi rurali. E ancora, al partigianato meridionale attivo nelle ‘bande’ del Centro-Nord, ai confinati e agli ebrei coinvolti; ai congressi di Bari e alla ‘svolta di Salerno’; alla preziosa attività dei CLN locali, fino alla resa finale dei tedeschi siglata nella Reggia di Caserta e l’anno dopo al voto, minoritario ma decisivo, in occasione del referendum istituzionale.
Per l’altro, mi piace proporre all’attenzione del lettore una considerazione svolta nelle pagine iniziali dello straordinario, recente volume dello storico inglese Simon Pocock dedicato al 1943 napoletano e campano. L’Autore sostiene, dopo avere definito le Quattro Giornate come “patrimonio storico universale, che se ne è andata perdendo la visione transnazionale, e che il corrispondente spontaneo movimento patriottico di autodifesa….è rimasto ridimensionato e piuttosto offuscato dal fenomeno del partigianato di massa nel nord-Italia, protrattosi a lungo. Allude quindi al carattere poliedrico dell’evento, paradossalmente quasi di ostacolo al suo pieno inserimento nella cultura cittadina. Le Quattro Giornate vengono viste sia come espressione patriottica, in senso piuttosto tradizionale, sia come moto rivoluzionario, “finestra di opportunità per un radicale cambiamento della società”. A suo avviso, in buona sostanza però, non vi fu nell’azione napoletana antitedesca una unica manifestazione di armonia sociale, le varie classi sociali cittadine si impegnarono secondo una sorta di rituale consolidamento dei ruoli e dei costumi sociali ad essi assegnati nei secoli nella città. Per concludere dicendo che “d’altro canto, le tante sfaccettature e contraddizioni dell’insurrezione riflettono la stessa caotica armonia della città di Napoli stessa”.
Per quanto mi riguarda, ritengo quanto affermato da Pocock un grande punto e spunto per ulteriore riflessione, ma intanto ne registro la passione e l’intelligenza da cui è pervaso, e lo considero uno stimolo forte a proseguire sulla strada della rivalutazione della cultura della memoria e della storia, senza la quale non può esserci vera conoscenza ed autentica identità
Guido D’Agostino, presidente dell’Istituto Campano per la Storia della Resistenza, dell’Antifascismo e dell’Età contemporanea, “V.Lombardi”