E poi è successo. Quello che non avremmo mai pensato potesse accaderci era lì, pronto ad assalirci e a ghermire le nostre vite. Ma come?! In Cina era naturale che si fosse propagato un virus insidioso e temibile, in fondo mangiavano animali disgustosi e poi quanto a igiene e sanità erano carenti, ma noi ci sentivamo sicuri, quasi invulnerabili. Ci siamo ritrovati chiusi in casa e nelle nostre città, ad ascoltare bollettini di “guerra”, virologi, epidemiologi, esperti di ogni specie. “Ai tempi del corona virus”: a chi è mai venuto in mente di coniare un’espressione del genere? Come si possono paragonare l’attuale tetraggine, l’angoscia, il groppo alla gola alla sfrenata e libera vitalità del mondo di Marquez, alla sua gioiosa voglia di vivere e di godersi i momenti più pieni dell’esistenza umana? Chi di noi potrà mai cacciar via dalla memoria la fila interminabile di camion militari, che dopo il tramonto portavano le bare dal cimitero di Bergamo ad altre regioni che potessero accoglierle? Certo, la nostra vita ha subito una sospensione innaturale, strana, inconcepibile per chi ha vissuto sempre tra gli altri e con gli altri, con la falsa sicurezza di essere al di là di una pandemia.
Sono cose di altri tempi, ormai debellate, cose da untori manzoniani. E invece la nostra esistenza si è fermata e siamo tutti a casa sgomenti, spaventati, sospesi, sperando di riuscire a sopravvivere a questa agghiacciante ondata di sofferenza e di morte. Qualcuno più anziano dice che questa che stiamo vivendo è vita che ci è stata rubata, che non potremo più recuperare, pezzi di vita persi. Un po’ sì, è vero, eppure forse non del tutto. Quando mio figlio minore, che abita a migliaia di chilometri di distanza, fa la pastiera in videochiamata ed io ne seguo tutte le fasi, come se fossi lì con lui, o l’altro figlio, che vive ancora più lontano, mi chiama tutte le sere per sapere come sto e magari uno dei miei nipotini gli toglie il cellulare di mano e mi esorta ad accendere la videocamera perché possa vedere lui e il fratellino mentre giocano o pranzano e mi coinvolgono nella loro vita, allora passano la solitudine, la nostalgia, la tristezza, che di solito mi prendono quando penso a loro e il mio cuore si riscalda e si riempie di gioia. Non ho mai sentito i miei figli così vicini e presenti, da quando sono partiti e hanno proseguito le loro vite in un altro paese, ma anche in un’altra dimensione, che non mi includeva e mi teneva ai margini. Dopo tanto tempo ho potuto godere della tenera e dolcissima compagnia dei miei nipotini, che temevo si fossero allontanati e che invece mi cercano di continuo e vivono con me i momenti della loro giornata con assoluta naturalezza, come  se ci fossimo appena lasciati. Ho recuperato la quotidianità e la condivisione, le cose principali che perdi, quando la lontananza si frappone tra te e i tuoi affetti più cari. So bene che è solo un momento, ma è comunque bellissimo. E allora mi ritrovo a chiedermi, anche se sembra assurdo o addirittura blasfemo di fronte alla terribile tragedia che stiamo vivendo: almeno per me, è vita rubata o vita ritrovata?