Quella mattina Anna si svegliò confusa. Cercò lo smartphone, ma non trovò il comodino, allungò un braccio sul futon, ma rimase penzoloni (il materasso si era forse rimpicciolito?), cercò con lo sguardo la scrivania, ma anche questa sembrava essersi smaterializzata, e il pouf dov’era finito? Pochi secondi dopo, il chiacchiericcio dei vicini e un intenso odore di caffè le ricordarono di essere tornata a casa dei suoi per il weekend. Si alzò lentamente dal letto e, procedendo a tentoni, si trascinò in soggiorno, con gli occhi ancora mezzi chiusi. Poi, come accade a chi cerca di introdursi furtivamente in una stanza buia o troppo illuminata, andò a sbattere contro il divano.
“Sveglia!” gridò Carol, già con un piede fuori al portone. Stava uscendo a fare la spesa e farfugliava parole come mantellina, merendina o margarina. La sera prima aveva detto di voler fare un dolce, quindi la parola doveva essere proprio “margarina”.
Dato che le corde vocali si rifiutavano di collaborare, Anna accennò un saluto con la mano, ma la sorella era già partita come un razzo, lasciando dietro di sé un nuvolone di…incenso? Anna si strofinò gli occhi, ma tutto le apparve ancora più sfocato: un andirivieni di figure stilizzate fu l’unica cosa che riuscì a scorgere. Alcune persone, dalla fisionomia indefinita, intonavano canti e preghiere, mentre uno di loro invitava gli altri ad ascoltare la sua parola. Anna si guardò intorno per familiarizzare con l’ambiente, ma nessuno sembrò accorgersi della sua presenza. Pensò di trovarsi nel bel mezzo di una funzione religiosa, molto suggestiva, una di quelle che si celebrano soltanto durante la Settimana Santa; ma mancava ancora un mese per Pasqua e quella era un tipo di liturgia alla quale non aveva mai assistito prima.
Il prete alzò il calice, bevve, e lo passò al discepolo più vicino. A sua volta il discepolo alzò il calice, bevve e lo passò a quello successivo, e così via. Quando il sacerdote ripose il calice, quello che aveva bevuto per primo si accasciò a terra privo di sensi. Poi fu la volta degli altri. L’effetto domino di quell’improvvisa epidemia sembrò colpire anche Anna, mentre le sirene di un’ambulanza si facevano via via più assordanti. O era la suoneria del cellulare? Anna spalancò gli occhi e giurò a sé stessa che mai e poi mai si sarebbe fatta coinvolgere in un’altra maratona di Harry Potter, tra calici di fuoco e doni della morte.
Rispose al telefono. “Anche voi zona rossa?” chiese un collega da Milano, da diversi giorni alle prese con il lockdown. Doveva pubblicare un pezzo entro le 10 e, tra fake news e tweet ufficiali, era venuto a sapere che durante un ritiro di neocatecumenali, alcuni fedeli avevano condiviso lo stesso calice, causando il primo focolaio di Covid-19 in Campania.
Anna pensò di essere caduta in letargo o, più verosimilmente, di trovarsi di fronte a uno di quei falsi risvegli di cui aveva sentito parlare. Intanto Carol era tornata a casa. Indossava guanti e mascherina (non era “margarina”!) e aveva comprato scorte alimentari e ricariche della ceretta per settimane.
Era iniziata la quarantena.