Basta leggere il titolo e le prime righe del volume di Brillante Massaro “Malanotte e figlia femmina” per “Le scatole parlanti” Editore, per avere già un’idea del contenuto del libro. Un racconto in qualche modo preannunciato, ma non per questo meno intrigante, anzi al contrario, il contesto rurale dal quale prende vita, ne è una testimonianza.

L’ autrice, infatti, non si limita a ripercorrere, tra un caffè e l’altro del risveglio mattutino, infanzia adolescenza e giovinezza della protagonista, sino ai bilanci della senilità, ma ne arricchisce il testo con appropriati termini dialettali. Parole che messe assieme ricostruiscono la cultura popolare di un popolo, oltre che a trasmettere, attraverso proverbi e detti, anche qualche antica, profonda verità. Ed è forse proprio questa la peculiarità di questo volume, l’utilizzo della lingua parlata dalla gente comune, di un sud Italia che attraverso la sua quotidianità continua ad aggiungere tasselli alla storia collettiva del nostro paese. Lo sfondo sul quale l’autrice muove le fila della storia è appunto l’entroterra rurale casertano degli anni Cinquanta, e della sua successiva evoluzione negli anni 70.  Un periodo storico importante per la donna e per un paese a due velocità, con un mezzogiorno sempre in affanno e per di più frammentato. Nel racconto della vita familiare della protagonista e del rapporto con i genitori emerge con forza, ma anche con la dolcezza di chi in qualche modo ne giustifica i comportamenti, l’arretratezza culturale di una intera classe contadina. Un contesto nel quale nascere femmina è quasi una vergogna, vista anche la necessità di avere nei campi braccia e gambe forti. Ma l’essere femmina in alcuni contesti sociali significa anche non avere alcun diritto sociale e dover vivere in una condizione di inferiorità rispetto al maschio.  La nostra protagonista è una sognatrice che sulle orme del nonno paterno vorrebbe, appunto, come un maschio, fare il fabbro, affascinata dal fuoco della fucina e dall’amalgama della fusione del ferro. Eh, sì perché saldare significa unire, condividere, recuperare, ridare vita a ciò che altrimenti sarebbe andato perso. Tuttavia, così come il crogiuolo insegna che non tutto può essere saldato, così la vita insegna che non sempre è possibile tenere insieme ciò che si divide. Perché “La vita è un aggregato scomposto di pieni troppo pieni e di vuoti troppo vuoti, di pause, brusche accelerate, di gambe che fremono e di corse con gambe molli, di attese sospese, di arrivi inattesi, di passaggi gi dati o ricevuti per caso. E spesso non ci dà il tempo di imparare”.

 

Carlo De Cesare