Trattare del 2 giugno, festa civile nazionale che ricorda la nascita della Repubblica avvenuta nel 1946, tenendo conto sia del quadro territoriale generale esteso all’insieme del Paese, sia della “anomalia napoletana” e meridionale, quindi del voto monarchico predominante del Sud, non è semplice.

Occorre provarci, tuttavia, partendo dal giudizio e dalla definizione del grande Piero Calamandrei il quale a caldo, il 9 giugno scriveva dell’evento dichiarando che si trattava di un “miracolo della ragione”, qualcosa mai avvenuta prima nella storia e compiuto in Italia con mirabile lentezza e cura, mentre c’era ancora un re sul trono e ad opera diretta di un popolo chiamato alle urne per pronunziarsi attraverso il voto referendario esteso anche alle donne.

Ma per Napoli ed il Mezzogiorno le cose non erano andate proprio così,  nel senso che a risultato definitivo e formalizzato nella nostra città ci fu incomprensione e subito rabbia e ribellione. In effetti, in termini quantitativi, la partita si era chiusa con 12,7 milioni di suffragi a favore della Repubblica e 10,7 per la Monarchia; di questi ultimi, circa l’80 per cento proveniente da Sud ( o da Roma in giù) tra cui spicca il milione e mezzo circa totalizzato  in Campania e a Napoli. Nella nostra città come se non si riuscisse a comprendere che avendo espresso così tanti voti si era perso in ambito nazionale complessivo, e di qui rabbia e incomprensioni, sfociate in violenti incidenti di strada con morti e feriti innescati dall’assalto furibondo alla sede del PCI in un palazzo di via Medina.

Di recente si è parlato e scritto dei giorni della prima metà di giugno come delle “sette Giornate di Napoli”, una sorta di paradossale prosieguo ed esito delle più note e gloriose Quattro Giornate di settembre- ottobre  1943. Al riguardo, ricordo come in un recente incontro pubblico sul tema mi sia stato chiesto di spiegare come fosse stato possibile che meno di tre anni più tardi, rispetto all’evento di cui sopra, avessero luogo reazioni di rigetto e ripudio della Repubblica. Mi pare che il punto sia nella conoscenza e riflessione di quanto e come fosse mutato il clima politico cittadino, in seno a una comunità prostrata dalla guerra, provata dalla incombente presenza anglo-americana, resa estranea e ostile a se stessa, senza voglia, inclinazione, capacità di avviare un ‘ricominciamento’, magari di nuovo sotto il segno della marcata e ritrovata unificazione nazionale a guida nord-italiana. In più contavano molto i secoli vissuti all’ombra di regimi e poteri monarchici, sicché davvero l’opzione repubblicana poteva suonare come il famigerato e propagandatissimo “salto nel buio”.

E comunque, tutto sommato, è pure vero che monarchici nelle nostre regioni siamo rimasti, sul terreno amministrativo (ricordate il sindaco Lauro?), ancora molti anni a seguire, così come favorevoli al centro-destra su quello politico. E le cose sono cambiate solo più tardi e la stessa ricorrenza del 2 giugno ha avuto i suoi alti (pochi) e i suoi bassi (molti) prima che comparissero alcuni tra i recenti Presidenti della Repubblica (a cominciare dal benemerito Ciampi e fino all’attuale Mattarella), grazie ai quali si è tornato a parlare e praticare “patriottismo repubblicano” e “pedagogia repubblicana”, vera conquista ed eredità preziosa di quel glorioso referendum di 77 anni fa.

 

                                 

 

GUIDO D’AGOSTINO

Presidente Istituto Campano Storia della Resistenza