ERA MIO NONNO

                   Credo sia difficile comprendere perché a volte il ricordo di avvenimenti dolorosi, vissuti tanto in prima persona quanto raccontati da altri, improvvisamente ritorni alla mentre dopo un periodo di assenza più o meno lungo, quasi come se fosse stato volutamente accantonato. Un silenzio della mente e del cuore indotto forse dalla stessa necessaria elaborazione del dolore che trova poi, proprio nella memoria, la forza di trasformare quella sofferenza in una doverosa testimonianza. È accaduto ai tanti, fortunatamente per noi, testimoni delle shoah, e di tutte quelle follie della guerra nel mondo, testimoni che, con non poca difficoltà, hanno rielaborato, alcuni solo dopo molti anni, i tanti inferni vissuti nei lager, nelle trincee, sui campi di battaglia. Storie agghiaccianti, fatte di gratuite atrocità compiute nelle tante guerre tra i popoli, atrocità che ancora oggi continuano ad essere perpetrate sui quei territori dove la zizania dell’odio ha soffocato quasi o del tutto il grano della vita. Un dato di fatto che dimostra la necessità di legare alla storia collettiva, che forse ancora non conosciamo bene, o che comunque non ha dato gli insegnamenti sperati, le tante storie personali di chi c’era, di chi quell’evento l’ha vissuto in prima persona. Storie tramandate, che giacciono nella memoria generazionale e che improvvisamente si fanno largo tra i ricordi scuotendo le coscienze e acquietandosi solo allor quando trasformate in parole indelebili su fogli di carta. È accaduto così anche a Luca Perone, nipote di Saverio classe 1920. Un fante del 93° Reggimento Fanteria Divisione Messina mandato alla fine del 1940, come tanti altri suoi commilitoni, nei Balcani a difendere e onorare la Patria. Una storia che Luca conosceva bene, quella di suo nonno e della Seconda guerra mondiale, anche perché ne aveva sentito parlare tante volte in famiglia, soprattutto di quel diario che dopo la morte del nonno, avvenuta qualche anno fa all’età di 95 anni, gli era rimasto tra le mani, quasi come un dolce rimprovero per non averlo ancora letto.

Un documento di inestimabile valore non fosse altro per essere sopravvissuto al tempo, ma soprattutto all’opera di distruzione degli scritti e delle testimonianze di guerra imposta dal regime fascista. Ed è così che Luca legge, si documenta, ne comprende i dettagli e quindi l’importanza di rendere testimonianza, ma non solo a suo nonno, ma ai tanti che non hanno avuto né il tempo né la possibilità di raccontare. Nasce quindi “Era mio nonno”. Un titolo dentro il quale è racchiuso anche l’orgoglio di chi oggi riconosce in quel contadino della Valle Caudina un piccolo eroe sconosciuto, così come i tanti mandati a difendere la Patria un po’ ovunque e in particolare nella ostile terra montenegrina. Un racconto scorrevole come un romanzo, intervallato da brevi approfondimenti storici che aiutano il lettore a inquadrare nell’intero contesto i singoli avvenimenti. Un’ennesima, ma necessaria testimonianza della delirante follia di una dittatura e ancor di più di una sanguinosa guerra dall’incongruente finale. Chiude la narrazione il provvidenziale incontro che nonno Saverio ha avuto sulla via del ritorno con un frate cappuccino, tal Francesco Forgione: quello che noi oggi veneriamo con il nome di San Pio da Pietrelcina.

Carlo De Cesare