Mai come in questo caso il titolo del volume rispecchia in pieno il senso del lavoro eccellentemente svolto dalla docente di Letteratura teatrale italiana della Università degli Studi Federico II di Napoli, Giuseppina Scognamiglio e dal giornalista Massimiliano Mottola.

Sebbene infatti il volume esplori alcune opere teatrali e le affinità con altre, anche attraverso le impronte di ciascun autore, è plausibile che in generale possa sempre sussistere fra i testi una più o meno marcata conformità, senza che per questo ne venga compromessa l’indiscussa genialità creativa di ciascuna, perché….

 “È il Teatro Bellezza!”

Ed è così che il lettore potrà scoprire la “consanguineità letteraria” tra “Il Dialogo sopra la nobiltà” di Giuseppe Parini e ” ‘A livella” del “Principe della risata” Antonio De Curtis, in arte Totò; tra “La lupa” di Giovanni Verga e la canzone “Bocca di rosa” di Fabrizio De André; e ancora tra “Il figlio…. e La figlia di Iorio”, districandosi tra plagio e parodia della tragedia di Gabriele D’Annunzio messa in scena da Eduardo Scarpetta.

Ma sarà poi lo stesso Eduardo De Filippo, cultore manifesto di Pirandello, a far comprendere al lettore quanto sia davvero impervio il terreno egregiamente percorso dagli autori, con una espressione tratta dall’introduzione al volume “Eduardo Scarpetta e il suo tempo”, di Mario Mangini:

“Il teatro non lo fa un uomo solo. Qualcuno semina perché altri, dopo di lui, raccolgano”.

Del resto ” ‘A livella” nata 200 anni dopo “Il Dialogo sopra la nobiltà” appare più un tributo al Parini che un plagio. Una sorta di riscatto del “Dialogo”, che, così come sostiene l’autrice, con Totò diviene più fruibile.

Analogo discorso per “La lupa” del Verga, al quale è plausibilmente ispirata la celebre canzone di De André “Bocca di rosa”.

In entrambi i testi gli insaziabili appetiti sessuali della protagonista sono tanto oggetto di desiderio maschile, più o meno manifesto, quanto di dichiarata disapprovazione femminile, sfociata in entrambi i testi nella denunzia e nel coinvolgimento della Chiesa attraverso la presenza del curato del paese… anche se per finalità narrative diverse.

Nell’ultimo capitolo, ma non solo nell’ultimo, attraverso Maria Scarpetta (La Cenerentola del Teatro) figlia di Eduardo, il lettore avrà modo di comprendere il dramma vissuto dal grande attore al Teatro Mercadante nel dicembre del 1904 con la messa in scena de “Il figlio di Iorio”, che nonostante il tacito assenso alla parodia, ottenuto tempo prima dall’artista direttamente dal D’Annunzio, fu contestato non soltanto dai sostenitori del poeta pescarese, ma dallo stesso D’Annunzio che lo denunciò per plagio.

Tra le accuse formulate a Scarpetta, anche da quelli ritenuti amici come il Bracco, c’era il rimaneggiare opere senza peraltro aggiungere nulla di significante, anzi conferendo alle stesse solo una “contaminazione” partenopea.

Una valutazione decisamente in contrasto con l’idea scarpettiana del Teatro, dove è l’attore il fulcro dell’opera, che fa proprio anche ciò che proviene da altri lavori.

Ma forse il vero riscatto morale del grande attore, anche per il repentino declino a valle di quella terribile serata, è stata l’eclettica penna della figlia Maria, che abbandonate le tavole del palcoscenico per volere paterno, dapprima con lo pseudonimo di Mascaria e poi all’ombra dei testi del marito, anche lui autore teatrale, diede non solo una spinta all’estro dei Fratelli De Filippo, ma anche a tanti altri, sempre con l’obiettivo di divertire il pubblico.

Perchè come le ripeteva il papà: “La comicità è una cosa seria”.

Buona Lettura.

Carlo De Cesare