Sono assassini dalla tenera età che l’autore definisce nel volume “minori adultizzati dall’uso della violenza”. Giovani e giovanissimi che nell’intento di sfuggire all’adolescenza inseguono quei modelli del mondo degli adulti che in qualche modo sentono a loro più vicini. Modelli non solo proposti dalle fiction televisive, ma il più delle volte stesso dai componenti del nucleo familiare di appartenenza o dai coinquilini di quartiere; da sempre luoghi di aggregazione sociale e di formazione individuale. Maestri ispiratori di facili guadagni e di grandi opportunità di affermazione sociale all’interno della stessa collettività. Aree di periferia, anche quando a pochi passi dai centri urbani, isolate dal resto del mondo non solo da una distanza fisica ma anche percettiva. Un mondo troppo lontano, avverso, con il quale è difficile rapportarsi; se non impossibile. Una sfida da vivere quotidianamente. Non a caso l’autore nel volume fa un confronto tra la modalità di azione del terrorismo e quella dei giovani camorristi napoletani . “Stesa” e propaganda sono pratiche finalizzate a generare paura, per questo anche il “look” è spesso utilizzato come segno di appartenenza. Un’adesione che di fatto diviene anche una possibilità di dare sfogo alla pulsione di voler dominare l’altro. Una carriera possibile da intraprendere anche in giovanissima età, magari come sentinella nelle piazze di spaccio sino ad divenire esecutore materiale di un omicidio.
Il volume analizza il fenomeno della delinquenza minorile, e non solo, attraverso un articolato percorso storico basato anche sul confronto fra le metropoli, fuori e dentro i confini nazionali, dove è quasi sempre la devastazione della guerra, più che la miseria, a far crescere in fretta i bambini, così come invece è accaduto per la città di Napoli. Non sarà difficile al lettore comprendere le motivazioni di una così forte radicalizzazione nel tempo della camorra napoletana; a partire dai contesti storici della città nel cinquecento e alle differenze tra la delinquenza di ieri e di oggi, dove il giro di “affari” è molto, ma molto, più consistente e rapido di un tempo. Tuttavia l’autore, in punta di piedi, come è nel suo stile, prova a fare delle proposte per possibili vie di uscita da una situazione che sembrerebbe non averne. Se è vero infatti che spesso i giovani affiliati sono figli o parenti di camorristi è altrettanto vero che i “ribelli” e cioè coloro che si dissociano, non sono pochi. Esiste quindi una realtà, che se pur piccola, andrebbe interpretata e sostenuta attraverso azioni atte ad intervenire culturalmente e socialmente dall’interno. Non è possibile accendere i riflettori sulla questione minorile solo dopo che sia stato commesso un reato. “Occorre lavorare laddove è più alta la dispersione scolastica, laddove si concentra la precarietà del lavoro, laddove ci sono più problemi sociali…” perché “…sarebbe davvero difficile da giustificare che non si provi neanche lontanamente ad arrestare la sequenza di cause ed effetti, assistendo impotenti all’assoluta asimmetria tra bisogni e risposte”.
Buona lettura
Carlo De Cesare