Dei granellini di sabbia giacevano sulla spiaggia. Riccardo li fissava tanto intensamente da poter giurare di riuscire a contarli. Erano così tanti, eppure si incoraggiava da solo a riconoscere l’importanza di ciascuno di loro. Anche di quelli che il mare risucchiava con le timide onde, che sporcavano la distesa sabbiosa al ritmo del vento.
Aveva desiderato così a lungo quella passeggera visione che ora gli attimi non gli bastavano più, aveva bisogno di più tempo. Però non poteva. Non era legittimato a sostare vicino al mare.
Non si avvicinò, ma, chiudendo gli occhi, alimentò la sua voglia di toccarlo, di bagnarsi anche la punta delle dita con quell’acqua. Di sentire la pelle già sfiorata dalla crema solare lasciarsi trasportare da quella dolce natura. La alimentò solo nella mente.
Passava con la macchina tutte le mattine e le sere (prima e dopo il lavoro) da quell’angolo di paesaggio che gli permetteva di sperimentare la pace. Era quell’aria che lo faceva tornare sereno e, per un istante, poteva scostare la mascherina di plastica che gli imprigionava le espressioni del viso e manifestarle a quell’acqua agitata o calma, a seconda del tempo. Era divertente, perché lì non ci andava mai nessuno. Gli sarebbe piaciuto avere a disposizione un pianoforte per poterlo suonare. Senza pubblico, né applausi. Solo lui, le sue passioni, la sua serenità. Voleva toccare i tasti, mentre la sabbia svolazzava, non avrebbe avuto paura di alcun virus. Perché nessuno ci metteva piede da tempo.
Un giorno accostò con l’auto e scavalcò il leggero muretto che separava l’asfalto dalla sabbia. Respirava affannosamente. Non aveva mai rubato nella sua vita, ma Riccardo quel pomeriggio sentì la stessa adrenalina che permette a un ladro di fuggire più velocemente.
Si fermò a guardare la schiuma sciogliersi al confine delle onde. Cercò nel loro suono delle idee che potessero dargli accenni di speranza per l’avvenire. Forse pregava il mare di proferirgli risposte che cercava da tempo. O sperava che gli dicesse soltanto: “Va tutto bene”. Non si sarebbe accontentato di quel verbo al futuro semplice che gli italiani avevano appeso fuori ai loro balconi, in quei giorni di reclusione. Voleva che fosse il mare a parlare personalmente a lui, dicendogli che non doveva più aspettare, perché era tutto a posto così. Non si era ammalato e il destino aveva anche voluto che lui non perdesse il lavoro in quei giorni.
Sfiorò con le dita la sabbia bagnata e l’acqua si affrettò ad afferrargli la mano.
Si sentì un po’ folle ad aver desiderato che il mare gli parlasse.
Eppure tornò in auto ed ebbe voglia di alzare il volume della musica, anche se era solo.
Va bene così. Forse andrà meglio. Ma ringrazio che va già tutto bene.