“Non è vero che la quarantena rende tutti uguali, i borghesi passano il tempo rileggendo i classici e cucinando torte alla carota nei loro bei appartamenti”.
L’autore dell’articolo ci aveva azzeccato in pieno, avevo davvero preparato la torta alle carote e stavo ascoltando Elio Vittorini nei dopopranzo soleggiati sotto il portico. Mi sono sentita smascherata come quando pensi di comportarti in modo speciale e poi scopri che sei uguale a tanti altri e anche un po’ rassicurata di essere definita borghese a discapito del mio misero conto in banca… ma soprattutto mi sono sentita in colpa perché felice. Come nel marzo del 2000 quando mia madre morì all’improvviso e nonostante l’immenso dolore ero innamorata e quindi felice. E anche in questi giorni di quarantena, come allora, è scoppiata la primavera e io sento a volte esplodere la gioia dei sensi nonostante il Covid mi abbia provato di quella dell’olfatto. Mi sono sentita in colpa per tutti quelli che non hanno una bella casa, ma mai come in questo periodo ne ho apprezzato ogni angolo. Mi sono angosciata quando a mio padre non passava la febbre e impotente perché non sapevo rassicurarlo, ma lo ho sentito più vulnerabile e più sincero.
All’improvviso tutto mi sembra acquisire senso, si pensa alla morte, tutti pensano alla morte. Da bambina mi sentivo sola perché mi credevo l’unica a pensare sempre alla morte e ad avere paura. La pandemia ci costringe ad avere paura tutti insieme.
Non ho più le crisi di panico, sento che il panico è di tutti. Rassicurante? Non lo affermo perché è da borghese, ma soprattutto perché sembra un enorme paradosso.
Sento, come mai da tantissimo tempo, i desideri più vividi e il mio cuore si riempie di felicità.
Cerco di sopire il mio senso di colpa con le parole di Camus “Nel cuore dell’inverno, ho scoperto dentro di me un’invincibile estate”.