Osservo dalla mia finestra, seduta nell’angolo della stanza, ogni tipo di movimento che c’è Iì fuori, ogni tipo di vita che si trova di passaggio tra un’anta e l’altra può sentire il mio sguardo fisso. Mi ha sempre affascinato guardare gli altri dall’alto, poter creare viaggi nella testa, associarli a caratteri che non hanno, immaginare i loro nomi, ed in questo periodo posso dire di aver avuto il tempo necessario per poterli studiare bene. Ma le persone non c’erano. Un palcoscenico vuoto, ed io seduta li sulla mia poltrona ad aspettare che si spegnessero le luci per osservare qualcosa, ma nulla. Il silenzio incolmabile di questo periodo, quello che però diventa assordante e ti logora dentro. Non sono triste, non mi sento intrappola, ho saputo restringere il mio mondo nelle sole mura della mia stanza già prima di questa quarantena. Ho un balcone per osservare il mondo, una parete per ricordami delle persone che mi sono a fianco con tutte le loro foto e ho un muro vuoto, pronto a disegnare i miei pensieri quando i soli ricordi di ciò che ho vissuto non mi aiuterebbero. È strano vedere le strade vuote senza macchine, prima di questi giorni le avevo solo viste alle 4 di notte, quando mi alzavo per andare in bagno e potevo ascoltare il solo silenzio dell’asfalto non calpestato. Una strada costruita per il passaggio nullo di ciò che non circola. Un po’ come costruire i castelli di sabbia da bambina sapendo che nessuna principessa avrà il tempo di varcare le porte perché
portato via dalle onde del mare. Non c’è più tempo per scrivere “c’era una volta”, a volte la vita ti mostra direttamente il finale e tu puoi solo immaginare di poter continuare ciò che lei ha scelto di iniziare. Per quelli come me a volte è un bene, leggo sempre l’ultima pagina e poi la prima di un libro, vedo prima gli spoiler e poi la serie, in un certo senso è come se dovessi sentirmi pronta per ciò che accade, come se non fossi pronta a vedere la distruzione di ciò che creo, motivo per cui da piccola ho sempre creato castelli piccoli..li avrei potuti ricostruire più in fretta ed il tempo dell’attesa non sarebbe stato cosi straziante. Ma c’è un momento, un piccolo momento che amavo più del costruire il tutto, era quella voce che da lontano, quando aveva visto che si era distrutto tutto, mi diceva “devi prendere la sabbia più bagnata, altrimenti crollerà sempre a mamma” la stessa voce che oggi, quando ho lo sguardo fisso sul muro mi dice “vieni un po’ sul letto con me, ora che possiamo”.

Forse non importa ciò che mi manca oggi richiusa in casa, perché quello che ho capito è ciò che mi è mancato in quegli anni in cui non ho dato abbastanza importanza a ciò che avevo dentro quella casa. Ho avuto modo nella mia mondanità di riconoscere a me stessa che ogni giorno è “il giorno giusto” per essere grata alla vita, e poi ho avuto tempo di raccontare i miei ultimi otto anni a mio padre, che per quanto possa vedere tutto dall’alto, forse a volte, è giusto sentirsele dire le cose e questo mi ha resa un po’ parte integrante di un mondo che non finisce nemmeno quando i personaggi della fiaba scompaiono.

Nell’attesa che il mostro possa essere sconfitto, come in tutte le migliori storie, mentre gli scrittori lì fuori indossano i guanti migliori per poter ridare alla vita il giusto valore, noi siamo qui, attori dietro le quinte, armati delle nostre maschere/ine ad aspettare che il sipario si apra, e altro non possiamo fare, se non rileggere bene ciò che abbiamo imparato ed essere pronti a vivere al meglio, perché tanto, per quanto alti possano essere i castelli, seppur distrutti, i tesori più belli son sempre quelli sepolti.