Sono mesi che vi osservo. Vi ho visto cantare dai balconi, salire sui terrazzi, gridare al cielo “ce la faremo”.
Smarriti, spaventati, incupiti, avete contato, ogni pomeriggio, i morti.

Vi ho sentito dire: “Meno male oggi sono solo 835 e poi, a dirla tutta, erano vecchi e malati”. Vecchi e malati. Eravate terrorizzati a tal punto che non vi siete fermati nemmeno un attimo a pensare che dietro a quei numeri c’erano vite, storie, sofferenze, amori. Quel dolore non vi interessava.

Già perché, anche per voi, inconsciamente, quelle persone non erano più annoverabili tra gli esseri ai quali dare un valore, perché per questa società erano improduttivi, un peso, un costo come si dice oggi.

Siete integrati al punto tale che le vostre menti ragionano in funzione del sistema. Non si spiega, altrimenti, come fate ad accettare questo mondo, a giustificare ogni giorno, ogni ora, ogni minuto tutte le nefandezze che vedete e subite, alle quali, ormai, siete assuefatti.

Ora vi sentite come topi in gabbia e prima dove eravate? Non fate altro che dire “non vedo l’ora di tornare a vivere”. Forse perché il silenzio delle case vi fa paura e avete un terrore matto di fermarvi a riflettere.

La vita vi aveva presentato un’occasione irripetibile per fermarvi a ragionare, uscire da questo meccanismo infernale e immaginare un mondo diverso, e voi? Niente. Non vedete l’ora di tornare in trappola. Avete smesso di sognare, distratti, come siete, dal comprare cose inutili. Vi hanno insegnato a consumare tutto, al punto che buttate via anche i rapporti personali.

Chi sono io?

Sono uno dei tanti che non si è lasciato condizionare, che ha deciso di non affannarsi, come un deficiente, per guadagnare quel poco che non basta mai, uno che ha capito che l’unico modo per non farsi fregare è rifiutare il sistema, non essere suo complice di questo saccheggio della terra e consumare il meno possibile.
Sono uno dei tanti invisibili. Potrei essere il vecchio, il disabile, il povero, l’ammalato, il disoccupato o uno dei tanti ragazzi, che vivono chiusi in casa e trascorrono le loro giornate davanti al computer. Sono la sofferenza che ti circonda, uno di quelli che non si preoccupa del futuro, che non ce la fa a fare questa vita, che è stanco di subire soprusi e cattiverie e odia la violenza. Sono uno di quelli che non sfoga le proprie frustrazioni su chi è più debole; che non approfitta di chi è in difficoltà; che non prende in giro gli altri per scherzo, con quella sottile cattiveria che fa male, che non giudica gli altri con il parametro del denaro; uno di quelli che quando vede un’ingiustizia si ribella; che non venderebbe mai un amico, che quando sa che una persona tratta male gli altri decide di isolarla; che non ride vigliaccamente quando chi ha più potere, umilia pubblicamente una persona; che rispetta gli indifesi e chi soffre.

Sono uno che ha deciso di vivere da solo. Sono quello che non ti serve, quello che non ha potere e che non consideri, perché non potrà mai esserti utile. Sono la tua coscienza, quello che ti fa paura, quello che deridi, quello che ti inquieta, quello che hai scelto di non vedere. Sono quello che consideri uno stronzo, un fallito un povero, quello che temi, un giorno, di diventare.

Sono quello che quando finirà questa emergenza, continuerà a stare chiuso in casa, da solo, perché non ce la fa a vivere in una società di mediocri approfittatori. Sono quello che fingerai di sapere che non esiste.