Scrivieri Sisto (Firenze 1900 – 1950), scrivamatore, ambientalista ante-litteram, capostipite del movimento letterario S.I.D.E.
Scrivieri nacque sulle rive dell’Arno, là dove ebbe i natali il Sommo. Un predestinato, anche per via di quel cognome che nell’etimologia sembrava recare una condanna.
Il nome “Sisto” gli era stato imposto perché sesto di una dozzina di pargoli. La madre aveva una bottega di merciaia su Ponte Vecchio dove vendeva bottoni, ventagli e scampoli di stoffe. Del papà non sappiamo nulla.
Scrivieri scrisse per tutta la vita. Non pubblicò mai.
La madre merciaia raccontava, ma forse è una leggenda, che durante la sesta gravidanza percepiva in grembo un graffiare sottile come se il nascituro con la manina o col piedino le percorresse il ventre da un lato all’altro.
Restano comunque testimonianze inoppugnabili del fatto che il neonato col ditino tracciava strani segni in successione sulle bavette e sulle federe.
Dai misteriosi geroglifici in poi, non si fermò più. Continuò a scrivere sulle pareti di casa, sui muri degli edifici e ovunque vi fosse un po’ di spazio per un pensiero, una rima, una poesia. Scriveva, non imbrattava.
A scuola l’inarrestabile inclinazione del piccolo scrivano fiorentino, non sfuggì agli insegnanti, che nei componimenti fiutarono la stoffa del letterato. D’altronde, come si è già detto, la mamma vendeva, tra le altre cianfrusaglie, anche tessuti.
Durante gli anni del ginnasio compose l’ode Chiazze, frasche e torsoli, anticipando tematiche ambientalistiche che cinquant’anni dopo sarebbero state il cavallo di battaglia del Partito Nazionalpopolare Verdi Per Sempre o Evergreen.
Risale allo stesso periodo (1915 – 1920) l’Epistolario Lettere ad una Madonna fiorentina, corposo carteggio, alquanto licenzioso, intrattenuto con una misteriosa dama che, rinvenuto post mortem, scatenò una vera e propria caccia all’individuazione della gentildonna.
Costretto ad abbandonare gli studi a causa delle disagiate condizioni economiche familiari, scansati gli obblighi verso la Patria grazie al fisico da tisico, Scrivieri s’installò nella vecchia merceria, che a poco a poco da bazar trasformò in bottega di scrittura.
Fu la svolta della sua vita. Coniò il neologismo scrivamatore per indicare colui che scrive per amore, per il piacere di giocare con le parole, per coccolarle, rivoltarle, risciacquarle nell’Arno, non per venderle. E volle essere scrivamatore per sempre.
Nel ventennio che seguì – anni assai fecondi – scrisse la commedia Uno sguardo da Ponte Vecchio(1925) sul tema dell’incomunicabilità, l’autobiografia romanzata Lettera ad uno scrittore mai nato( 1928), il dramma satirico Un uomo spezzato (1930) sull’irredimibile masochismo dell’essere umano, l’elegia Chianti a colazione (1931) in onore del nettare degli dei, Per chi suona il fischietto (1933) in memoria del fratello ferroviere.
Nel saggio Né per fame né per fama (1935) affermò la piena libertà dello scrivamatore e la completa autonomia delle opere. La sua mistica.
Fu anche poeta. Volgare. Compose Le voglie della pulzella (1936), raccolta di novantanove trivialissimi sonetti in lingua.
Nonostante i lusinghieri giudizi e le generose offerte di chi leggeva i suoi manoscritti, rifiutò sempre sdegnosamente la pubblicazione, ripetendo: “Sono uno scrivamatore, non un pennivendolo!”
Nel 1940 fu messo alle strette dalla famiglia: né la moglie né i figli gli avrebbero più rivolto la parola fino a quando non avesse acconsentito a farsi pubblicare.
Scrivieri accondiscese, ma ad una condizione: che per prima fosse pubblicata l’antologia alla quale stava lavorando: L’Opera Omnia – questo il titolo – che si preannunciava come l’apoteosi delle sue capacità narrative.
L’Opera Omnia fu la sua tela di Penelope.
Per dieci anni l’instancabile scrivamatore scrisse, riscrisse, corresse, allungò, accorciò, senza portare mai a termine l’antologia.
Morì all’improvviso a 50 anni, 4 mesi e 3 giorni. Aveva appena messo mano alla quarantaduesima riscrittura dell’opera.
La notizia della scomparsa, riportata dal quotidiano locale La Piena dell’Arno, scatenò editori e critici che insieme agli eredi si lanciarono come avvoltoi sulla produzione letteraria del “de cuius”.
Ma Scrivieri aveva fatto anche proseliti: alla sua morte, infatti, fiorì una vera e propria corrente culturale, indicata con l’acronimo S.I.D.E. (Scrivamatori Indipendenti Dagli Editori), che fece del già citato saggio Né per fame né per fama il proprio manifesto.
A ragion veduta si può affermare che l’unico scritto autorizzato dallo Scrivieri, fu il suo epitaffio, dettato parola per parola: “Qui giace Sisto Scrivieri, scrivamatore, che avrebbe voluto scrivere di più. In pace.”