C’è un momento quando apro gli occhi la mattina in cui tutto è confuso nella mia mente.
Chi sono, dove sono e con chi sono.

Anche stamattina è così.

C’è un suono che proviene dalle mie spalle e mi basta quello per ricordarmi tutto.

Papà è seduto alla mia scrivania e non si distrae, è concentrato sullo schermo.

Mi siedo anche io alla scrivania.

Oggi è il 10 marzo. Mi sono già annoiata del panorama che vedo dalla finestra della mia camera e già mi vedo più grassa rispetto a due giorni fa.

Arriva una telefonata sul cellulare di mio padre, risponde allegramente io mi chiedo come faccia a essere così tranquillo e ancora così solare quando la sua quarantena è
iniziata già da due settimane.

Si, perché papà è speciale. È tra quelle persone che sono più a rischio.
Papà è immunodepresso.

Sorride e ride. Quando attacca mi guarda e mi dice che è il numero uno.

Rido sempre quando è colpito da questi attacchi di autostima che gli fanno dire quello che io penso da sempre: è il numero uno.

Riporto lo sguardo sui miei quaderni di matematica pieni di calcoli. Non ce la farò mai a essere pronta per l’esame.

Pensarci mi fa sempre uno strano effetto, inizio a torturarmi le mani.

Mio padre mi chiede se c’è qualcosa che non va, forse devo essere impallidita un po’.
Vorrei rispondergli.

Si, papà. Ma non c’è solo qualcosa che non va, è tutto che non va. Non mi sta bene finire il mio quinto anno di liceo così, ascoltando audio di trenta minuti su argomenti che dal vivo sarebbero risultati interessanti e che adesso sono così asettici da renderli noiosi, non mi sta bene aver vissuto il mio ultimo giorno di scuola senza saperlo.

Vorrei tanto dirlo, ma non lo faccio. Allora gli rispondo che stavo solo pensando a ciò che devo studiare, anche se, lui sa che c’è dell’altro. Ci riesce ed è come se riuscisse a
percepire il mio battito troppo accelerato.

Riprendo a studiare e dopo aver ripetuto l’argomento due volte, la mia voce mi annoia.

Finisco di studiare matematica. Quando sto per iniziare un’altra materia, mio fratello inizia a russare sempre più forte diventando una fonte di ilarità per me e mio padre.

Edoardo parla nel sonno. Stamattina dice che ogni cosa che fa è per amore.

Forse dovrei smettere di ridere.

Edoardo si alza e gli dico che è tardi e che lo abbiamo svegliato solo perché deve preparare il pranzo. Lui va in cucina mentre riceve una telefonata dalla mamma che ci avvisa che sta tornando a casa.

Mamma è l’unica che non si è fermata neanche con la quarantena, credo che non esista qualcosa che possa fermarla.

Lei non ha il privilegio di rifugiarsi da questa pandemia tra le mura di casa.

Tutto è pronto per le 13:30. Mamma bussa e sono io ad aprire la porta.

Appena la faccio entrare mi chiede di allontanarmi anche se il mio corpo cerca in automatico di abbracciarla.

Lei si butta sotto la doccia bollente e ci sta trenta minuti. Entra in cucina con un sorriso troppo ampio per essere spontaneo e i suoi capelli neri che iniziando a tingersi di bianco.

Ormai la pasta preparata da Edoardo è fredda, ma nessuno se ne lamenta perché almeno stiamo mangiando insieme. Mamma è sempre a debita distanza, sorride, fa battute.

Io però lo so cosa prova in realtà. Glielo leggo negli occhi, quando papà tossisce per un motivo che non è un maledetto virus.

Mamma ha paura.

È sempre sola fuori e dentro queste quattro mura che dovrebbero essere casa.

E quando vado ad augurarle la buona notte, la vedo sempre sdraiata sul bordo del letto il più lontano possibile da papà. Anche stasera faccio così.

Ritorno seduta alla scrivania. Ho tanto da studiare. Ma prima penso a quello che ho ascoltato oggi.

Lei è come Edoardo. Fa tutto per amore.