Mia nonna Matilda aveva novant’anni quando, rendendosi conto che non le restava più molto da vivere, decise di diventare sorda. Già, sorda. Chiuse completamente il collegamento tra i condotti uditivi e il cervello e ogni voce, musica o rumore soprattutto molesto, restò esiliato nel mondo di fuori.
Fu una decisione sofferta su cui rimuginò a lungo e che prese in piena lucidità, capace com’era di intendere e di volere. Sapeva bene che si trattava di una scelta che non poteva essere presa a cuor leggero. Per questo motivo ci pensò a lungo, ci pensò giorno e notte, notte e giorno e valutò tutte le possibili alternative. Ma, per quanto si sforzasse, fu l’unica soluzione possibile. Del resto era perfettamente consapevole che, se avesse voluto tutelare quei pochi anni che le restavano da vivere, doveva assolutamente proteggersi da quel mondo che aveva amato con tutta se stessa e che ora, come in un qualunque rapporto di coppia logorato dal tempo, ormai sfuggente e malevolo, stava mostrando senza alcun ritegno i suoi aspetti peggiori.
Successe una bella mattina di sole di un mite febbraio. Le strade erano vuote, erano vuote le botteghe, erano vuoti i marciapiedi. Era vuota l’aria ed era vuoto il vento e un silenzio assordante riempiva il niente. La signora Peppina, affacciata al balcone, disse che era giunta notizia di un piccolo virus dal nome altisonante che si divertiva a togliere il respiro alle persone perbene. Al telegiornale non finiva un servizio che ne cominciava un altro peggiore del precedente, ed erano solo brutte notizie da ogni parte del mondo. La gente al supermercato non parlava d’altro, distanziata davanti alle casse, urlando per farsi sentire e dovunque si respirava un’aria pesante e densa di preoccupazione. Ma cosa stava succedendo? Nonna Matilda si sentì male. La portammo d’urgenza in ospedale, dopo due attacchi d’asma, un attacco di gastrite acuta e cinque episodi di tachicardia parossistica sopraventricolare. Dalla sera alla mattina le venne l’artrosi, si riattivò la sciatica e fu costretta a usare il bastone per settimane.
Provai a spiegarle che, se fosse rimasta a casa e avesse lavato spesso le mani, nulla avrebbe potuto su di lei il malefico invasore. Ma a Matilda la spiegazione non bastò. In verità, a spaventarla non era il piccoletto, ma come la gente, invece di godersi l’arrivo della Primavera imminente, perdeva il lume della ragione e faceva
cappellate. Menava mazzate per strada al primo che non rispettava la fila, invece di discutere educatamente con la moglie l’accoltellava e non si preoccupava per i vecchietti rimasti soli e abbandonati nelle case di cura. Il colore della pelle contava più del colore dell’anima e ovunque c’era divisione e diffidenza.
Fu così che prese la fatidica decisione e fu la pace assoluta. Il silenzio le accarezzò dolcemente i timpani e arrivò al cervello. Migliaia di molecole di endorfine furono liberate e si diffusero, simili a polline nell’aria, in ogni centimetro del corpo. Il cuore cominciò a battere in modo più regolare, i polmoni si riempirono d’aria come mai fino ad allora e i suoi arti stanchi gioirono del vigore ritrovato. Ogni dolore scomparve e cominciò a saltellare felice per la stanza. Pensò di aver avuto proprio una buona idea e si rammaricò di non averci pensato prima.
Nonna Matilda restò sorda anche quando il virus se ne andò. Si addormentò a centocinque anni immersa nel mondo di fuori, ma protetta dai dispiaceri grazie alla sua sordità. E, a chiunque provasse a dirle qualcosa, rispondeva:
«Non ci sento. Parla più forte che sono sorda!».