Il pianeta è stato sconvolto: il re dei virus l’ha invaso, ingaggiando una lotta furibonda,  indiscutibilmente impari col genere umano, ingabbiandone sogni e speranze.

L’immediato futuro è come un vicolo stretto che lascia appena intravedere un filo blando di luce. I negozi prima opulenti, ora serrati, sono l’espressione di un calamitoso disagio economico. Tutti in quarantena, tranne quelli che sono costretti a badare alla sussistenza, nonché le accorte operose ed incredule massaie, disposte a superare immani file, pur di riempire, personalmente, il proprio carrello dei generi alimentari più affidabili e a buon mercato.

Gli altri: tutti a casa ad osservare dalle finestre i cambiamenti, anche climatici. Le automobili non sfrecciano più come saette sull’asfalto. I rumori degli ambulanti, in questo torno di tempo, sono solo un ricordo. Sono stati spazzati dalla potenza nefasta del coronavirus, squallido avidissimo sovvertitore sociale. Fino a poco fa, pensare di vivere in una clausura forzata, per impedire alla pandemia di diffondersi ulteriormente, sarebbe stato impensabile. Gli Italiani, invece , in questo frangente, hanno dato il meglio, rimanendo a casa, stretti, talvolta, per davvero, tra quattro mura, data l’esilità di certi appartamenti. Tutti hanno cambiato le proprie abitudini di vita per adeguarsi alla funesta novità . Condurre un’esistenza da carcerati, senza, tuttavia, un vero carceriere dietro la porta, non è facile , così come pagare per una pena non commessa è un’ingiustizia inaudita.

E’ arduo non poter uscire a respirare la primavera, che, come di consueto, fa sentire la sua magica presenza. I profumi della terra feconda sono i soliti, malgrado il virus. L’ape gioconda sugge vorace ancora il nettare dai fiori d’arancio, i colori del mattino sono deliziosamente limpidi, quelli della sera morbidamente struggenti, ma è impossibile goderli appieno, in tutta la loro piacevolezza. Tuttavia, in questo mondo sconvolto sono una privilegiata. Sono come dentro una meravigliosa enorme bolla, che, avvolgendomi, mi permette di scandagliare un nuovo mondo e di dare alla morte il giusto senso. Vita e morte si toccano tangibilmente proprio nel rapporto di provvisorietà, di precarietà, instaurato in questo momento dal coronavirus. La vita è un dono straordinario, ma non ci appartiene. Essa è scandita da immani dolori, da gioie appaganti, come l’amore, che sostiene e migliora il viaggio individuale.

Ebbene, in questa mia clausura sono stata assistita da generosi riverberi creativi che mi hanno permesso di portare a termine un nuovo romanzo, che per motivi di tempo, per i numerosi impegni, avevo sospeso. Dunque, questo esilio, non voluto, imposto dall’alto, successivamente accettato, ha dato vita al mio estro creativo con l’audacia di una passionalità mai spenta. Oggi, con forza imperiosa e con una nuova consapevolezza, comprendo meglio la vigoria dello spirito umano e ringrazio per il dono concessomi, frutto di un’abbagliante luce d’amore che, abbondantemente, fluisce nel mio recentissimo romanzo di questi giorni. Questa neonata creatura di carta, di certo, mi appartiene, è mia, ma riconosco che è un regalo privilegiato del coronavirus. E’ il canto della creatività che si rinnova. E’ un inno alla vita che fugge . In esso l’immaginazione liberamente fluttua e dalle siepi di rovo nasce un roseto: l’infinito si libra spedito sulle ali del giovane gabbiano abbacinato da un’abbagliante, superba luce d’amore e, lontano lontano, dall’isola di Citera si leva gioioso un coro di nin