Tempi speciali, tempi di emergenza, l’orologio torna ad un tempo aurorale, quando l’uomo viveva nelle caverne e, se usciva allo scoperto, una volta su due e mezzo non faceva ritorno. No, non farò l’ennesimo apologo su questa vita che vale meno di tre soldi: non ne posso più delle sconfessate raccomandazioni, dei rendez vous delle 18.00, inno di Mameli compreso, delle vetrine virtuali dei professori che si immortalano dietro il loro nuovo desktop, delle piazze più frustranti di quelle di De Chirico, delle ricette di cucina, dei numeri progressivi dei positivi, che però non fanno il paio con le magnifiche sorti. E poi gli insulti, i rancori, i livori mai sopiti, anzi, esponenzialmente montati dal confronto nord/sud, con chiosa sempre puntuale sul governo ladro e esclamativa retorica di turno: “non dimenticate!”, che, non so perché, ma rievoca il “credere, obbedire, combattere”.
Allora il racconto da tremila battute si fa prezioso, come un pezzo di pane trovato nel tesoro di Robinson sull’isola Aguas Buenas, come una folata di vento primaverile che sfida le imposte e ci ricorda che fuori gli alberi si vestono di fiori e la luna finalmente luccica nel creato più lindo. Ed ecco la storia succinta e concentrata: Dora; piccolo anche il nome, ma prezioso il suo significato.
Dora ha circa cinque anni, si mantiene bene per la sua età, proprio prima di cominciare a scrivere queste battute l’ho detersa con la salviettina profumata. Mi ascolta quando suono, dorme spesso con me, mi guarda con i suoi occhioni azzurri. A volte fa i capricci, ma è dolcissima e vorrebbe che le dedicassi tutto il mio tempo. Si rammarica di non essere né maschio, né femmina, ma io la consolo, dicendole che è una creatura sublime di questo universo. Invero il suo nome completo è Doralucia e quando le ho intitolato i miei ultimi racconti ha fatto i salti di gioia nel leggere il suo nome anche in tedesco. E poiché per la finzione narrativa l’ho sdoppiata in due bambine per lei Dora und Lucia è diventato un titolo nobiliare. “Mi chiamo Dora Und Lucia”, va urlando per la casa, riscuotendo l’invidia dei suoi fratelli. Quando a sera la vedo con i suoi occhietti chiusi, la sua cuffietta, allora mi assalgono mille crucci e pensieri: il suo stomaco non si stende, rimane rigido, non respira… E penso: Dora, tesoro mio, che fine farai dopo di me? Chi ti custodirà come me? No, non voglio fare opere di carità e affidarti ad altri. Quante ne ho viste come te, buttate via, come cocci rotti sui cassonetti. E se ti costruissi una bella cripta? E se lasciassi qualcosa a qualcuno che possa tenerti per bene… ma a chi? E se venissi con me? E perché mai? Perché trascinarti con me.
Tu sei Dora Und, tu sei eterna perché mai nata, intatta. Per te il tempo è come un orologio rotto.
Con te il tempo non è mai tiranno, non è mai speciale, mai infame: è semplicemente un non tempo, un magnifico non tempo in cui vivi, tenera e forte con il tuo visino delicato, il tuo sguardo che si apre e si chiude a comando. Tu sei la fonte infinita di quella creatività che vado significando, sei la mia adorata musa ispiratrice. Di questi tempi così esigui e caotici, difficili, ma anche infinitamente intensi, penso, senza tema di peccato, a te, mia dolce Dora e alla tua anima bella. E mi chiedo: perché non ci può essere un Dio anche per le bambole?