Sono cresciuta in una casa molto piccola, “lottando” quotidianamente per lo spazio “vitale”.
Sono stata adolescente in piena guerra fredda, al tempo del terrorismo e dei sequestri che duravano mesi, talvolta anni. Ricordo gli occhi della madre di Cesare Casella incatenata in piazza per chiedere la liberazione del figlio.
Ho visto finire la guerra del Vietnam e cominciare quella del Golfo sempre chiedendomi “perché” e mai trovando risposte valide perché non esiste valida risposta all’orrore.
Ho provato una felicità quasi fanciullesca per la caduta del muro di Berlino e una disperazione attonita guardando implodere le Torri Gemelle. Costruire, demolire, ricostruire in un continuo divenire che sembra in qualche modo segnare progressi e regressi dell’umanità.
Ricordo le lacrime incontenibili e rabbiose per le stragi di Capaci e di via D’Amelio e quelle rassegnate e intime per la morte di Papa Wojtyla.
Sono stata a lungo con il naso all’insù sperando di riuscire a scorgere la cometa di Halley e ricordo, sebbene come in un sogno un po’ sfuocato, le immagini in bianco e nero dei primi passi mossi da un uomo sulla Luna.
I Beatles si sono sciolti, gli U2 si sono formati, ho visto decine di concerti e ballato come una invasata negli stadi. Ho visto Benigni camminare sulle sedie alla notte degli Oscar.
Sono profondamente orgogliosa di essere stata “contemporanea” di Calvino e Montale che hanno arricchito la mia vita con il loro genio.
Non dimenticherò il balzo prodigioso di Sara Simeoni alle olimpiadi di Mosca né le braccia spalancate di Mennea alla fine dei 200 metri più belli della storia. Sono grata per aver avuto la fortuna di essere spettatrice diretta del podio di fioretto femminile tutto italiano alle olimpiadi di Londra nel 2012. Mi emoziono al pensiero dei mondiali dell’82 e del 2006 sempre finiti con bagni nelle fontane e corse e bandiere e una gioia infinita.
Ho perso il lavoro dopo trent’anni trascorsi a fare i salti mortali per mantenerlo mentre crescevo i miei figli.
Ho perso mio padre, che mi aveva cresciuta, nell’arco di una notte.
In questi giorni non faccio che ripensare al passato. Questi sono solo alcuni dei ricordi che mi vengono in mente. Ve ne sono ovviamente altri, simili o molto più intimi, di quelli che non si possono condividere.
Ora abito in una casa molto grande. E’ una casa a piano terra che, in parte, guarda la strada. Da giorni mi affaccio molto più spesso di prima, così, solo per veder passare qualcuno che porta a spasso il cane o va a gettare via l’immondizia. Segnali di vita. Una vita molto strana, rarefatta come l’aria in montagna, stemperata come a volte la luce alla sera. E, come aria e luce, ogni giorno si va un po’ perdendo anche la mia buona volontà, vanno affievolendosi tutti i propositi che mi ero imposta all’inizio di questa “avventura” quando avevo pensato che, comunque, ci sarebbe stato molto da fare anche in casa e che dovevo tenermi attiva ed in forma per quando avrei potuto riabbracciare coloro che amo e che realmente sarebbe andato tutto bene.
Non ci sono riuscita. Mi sento desolata e molto, molto inutile.
Per questo cerco nei ricordi, cerco le emozioni e le sensazioni e le gioie e i dispiaceri e tutto ciò che possa comunque farmi sentire viva e possa farmi dire che la mia vita ne è valsa la pena, che andava vissuta.
Invece tutto questo tempo trascorso qui, a pensare, a ricordare, a cercare un senso, mi ha fatto capire che la mia vita altro non è che la fotocopia della vita di milioni di altre persone che non lasceranno il segno ed ora, come me, stanno alla finestra.